Benvenuti e benvenute su Il Chiostro, la newsletter mensile rivolta alla comunità di alumnae e alumni della Scuola Normale, per rimanere in contatto con Pisa, condividere ricordi, conoscere i rispettivi traguardi e percorsi ed essere aggiornati/e sulle attività dell’Associazione Normalisti.
In questo numero:
Un’intervista esclusiva a Roberto Barzanti
“2025 Frontiers of Science Award” vinto da 3 Normalisti
Aggiornamento Reunion annuale 25 Ottobre 2025
Intervista a Roberto Barzanti
Per aprire questo secondo numero, abbiamo deciso di intervistare un ex-alunno della Scuola, Roberto Barzanti.
Roberto Barzanti è nato a Monterotondo Marittimo (GR) nel 1939. Allievo della Classe di Lettere e Filosofia della Scuola Normale Superiore di Pisa, ha ricoperto diversi incarichi politici a livello istituzionale, tra cui quello di sindaco di Siena dal 1969 al 1974. Eletto al Parlamento europeo nel 1984, ne è stato anche vice presidente tra il ‘92 e il ‘94. Attualmente è presidente dell’Accademia Senese degli Intronati e presidente onorario della "Società Giornate degli Autori - Venice Days", che organizza una rassegna all'interno della Mostra d’arte cinematografica di Venezia. Autore di numerosi saggi e recensioni, è editorialista del Corriere Fiorentino e collaboratore per diversi giornali e riviste.
Al Chiostro ha raccontato le tappe della sua carriera, segnata dall’indelebile ricordo e insegnamento degli anni in Normale.
Come si descriverebbe in poche parole facendo riferimento, per esempio, anche alla sua più recente posizione lavorativa o interessi accademici?
Mi considero una persona che ha camminato molto restando a mezza strada, pur cercando di conciliare interessi culturali e impegno politico. Per quanto riguarda la ricerca o interventi di ordine culturale ho coltivato una varietà di temi testimoniati da scritti di ordine pubblicistico o giornalistico; la mia attività politica si è svolta prevalentemente a livello istituzionale o come amministratore e per alcuni anni sindaco di una città – la mia città: Siena – o nei complicati ingranaggi del Parlamento europeo quando era un Parlamento in cui era facile intessere rapporti durevoli e lavorare seguendo linee definite e finalizzate a obiettivi discussi e condivisi. Non mi riconosco qualità da dirigente di partito.
Qual è stata l’esperienza lavorativa più significativa per lei, quella in cui crede di essersi realizzato maggiormente o da cui le sono derivate maggiori soddisfazioni?
Sono due, mi scuso, le attività nelle quali più credo di aver realizzato almeno parzialmente le mie aspirazioni. Quella di sindaco e l’altra di membro – per quindici anni (1984-1999) – del Parlamento europeo, di cui sono stato anche vicepresidente. La prima mi ha messo in contatto quotidiano con un ambiente in cui mi trovavo a mio agio e assicurava il vantaggio di una verifica immediata dei risultati o delle prospettive derivanti dalle decisioni che avevo contribuito a prendere, ad esempio, per l’urbanistica – parola caduta in disuso – o per la tutela del patrimonio artistico. In sede comunitaria e successivamente nella farraginosa architettura edificata con il Trattato di Maastricht ho lavorato intensamente ed ho un ottimo ricordo degli anni animati dalla Commissione presieduta da Jacques Delors, anni pieni di speranze e innovazioni. Purtroppo i tempi consentiti dalla macchina europea e dalle procedure inaggirabili hanno un’invincibile lentezza. Dopo la caduta del Muro di Berlino occorreva cambiare passo. Si sono varate inadeguate riforme e si son fatti aggiustamenti fino a elaborare un progetto di costituzionalizzazione dei Trattati, come preferisco dire. La sua bocciatura ha segnato simbolicamente una battuta d’arresto di cui oggi soffriamo irreversibilmente.
Cosa l’ha spinta a intraprendere la sua carriera? Ci sono state difficoltà particolari che ha dovuto superare, soprattutto all’inizio?
La passione politica che era stata sollecitata negli anni del Liceo da docenti che univano l’insegnamento della loro materia ad una tensione civile che collegava, magari implicitamente, studio e vicende esterne, scrittura e mondo. Ruolo decisivo ebbe il cinema neorealista. Ora è di moda ironizzare sui dibattiti in cui ci si accapigliava, ma da quei confronti scaturiva la voglia di stare da una parte, di fare una scelta morale prima ancora che politica.
C’è stata una circostanza particolare (un incontro, una scelta, un’esperienza, un consiglio) e/o un aspetto del suo modo di essere che crede sia stato determinante nel suo percorso?
Determinanti furono certe lezioni del mio Liceo. Indelebile è il ricordo di maestri come Giuseppe Bettalli, allievo di Luigi Russo in Normale e di altri o altre capaci di trasmettere curiosità, preferenze critiche e consigliare letture, autori, questioni. Anche gli accesi confronti in seno al Partito Socialista e dintorni mi convinsero ad avviarmi per una strada che non è stata avara di soddisfazioni. Oggi avvertiamo i limiti delle impostazioni seguite agli inizi degli anni Cinquanta, nell’Italia della ricostruzione, ma non esistono idee buone e valide per sempre. Senza saperlo respiravamo un’aria “storicistica” di cui oggi percepiamo debolezze e falsificazioni, ma allora incise beneficamente nel tentativo di capire qualcosa.
Come ha influito la Normale (inclusi gli incontri fatti, le esperienze vissute, le competenze acquisite, etc.) sulla sua vita e attività lavorativa? Ha qualche ricordo o aneddoto di quel periodo che le piacerebbe condividere?
Gli anni e gli incontri della Normale hanno inciso in profondità nella mia formazione. Fin dal concorso di ammissione, autunno 1958. Quando si seppe che era stato fatto Papa il patriarca di Venezia Angelo Roncalli io esplosi in un profetizzante: “La Chiesa si rinnoverà, una rivoluzione!”. Quel giudizio che rimbombò nei corridoi del Palazzo della Carovana che ospitava i concorrenti mi è stato spesso ricordato e mi ha fatto passare per un esperto di cose di Chiesa. Ma dovessi enumerare gli episodi e gli incontri che hanno alimentato quel periodo ricco di entusiasmo dovrei abbozzare una risposta lunghissima e magari farei dimenticanze spiacevoli. Lo scambio di idee con allievi più avanti negli studi è stato importantissimo. Ho serbato un mucchio di rapporti che mi sono molto cari. Ora quegli amici sono diventati per me, che mi son fatto prendere dalla politica, maestri da consultare e ascoltare. Sono coetaneo di Adriano Prosperi, entrammo insieme in Normale. Ci sentiamo di continuo. Ho seguito e seguo le sue ricerche con ammirazione. Come quelle di tanti altri amici e di tante amiche di quegli anni eccitanti. Mi sembra di proseguire il percorso avviato allora. E poi devo dire che conservo un’idea larga della Normale per dir così. Assidua era la frequentazione di Sebastiano Timpanaro, che mi accompagnò in un’interpretazione di Leopardi indimenticabile. Oggi ne percepisco le strettezze e la tendenziosità, ma che importa? È l’autore che ho più amato, da allora. E fu una rottura netta, una scoperta. Devo non farmi tentare dal richiamare figure e colloqui che rammento con commozione, non mi vergogno a confessarlo. Quel poco che credo di aver imparato nell’accostarmi a un testo letterario o storiografico lo devo tutto al Liceo classico e più ancora alla Normale. I fili non si sono mai spezzati. Talvolta mi prende la curiosità di fare una telefonata ad un amico o ad un’amica di allora. Non sempre dal telefono giunge risposta. Allora mi sento un sopravvissuto.
Ha incontrato molta competizione durante il suo percorso? Se sì, come l’ha gestita?
La competizione l’ho ovviamente affrontata nel mondo politico. Nel PSI il confronto era vivace e non esente da manovre spericolate e furbastre. La rigida organizzazione per correnti era nefasta perché produceva impermeabili contrapposizioni non di idee ma di potere. Ero del gruppo minoritario che faceva capo a Lelio Basso, di cui conservo una grande e grata stima. Andavo a raccattar voti per la nostra mozione negli affollati congressi delle sezioni pisane o toscane con Giuliano Amato o con Timpanaro, pure loro bassiani. Rammento la mitica sezione Cammeo. Del PSIUP meglio non parlare: quella scissione fu un errore clamoroso. Ho aderito al PCI nel 1974, quando Enrico Berlinguer poteva far presagire un mutamento profondo di metodi e riferimenti “ideologici”, ma fu un’illusione. Voleva cambiare e conservare la enfatizzata “diversità”. Comunque nel PCI mi sono trovato bene. Il modello del partito di massa novecentesco ha avuto i suoi limiti ed ora è sostanzialmente scomparso (non del tutto). Di buono c’era che la guerra delle preferenze necessarie per essere eletti si svolgeva abbastanza regolarmente, se avevi fatto un lavoro rispondente alle domande degli elettori e alle sensibilità dei cittadini e delle cittadine non iscritti/e ma simpatizzanti con una sinistra combattiva e non conformista. Anche nel PCI il meccanismo non era angelico. Il centralismo faceva prevalere una dose notevole di cooptazione. Ora dal disfacimento di quella forma di presenza nella lotta politica le cose sono peggiorate. La deriva populistica e la sfrenata demagogia da sfoderare in cosiddette primarie hanno sanzionato la fine di sistemi definiti e esposto più che mai all’emotività del momento e alla manipolazione dei media. Ma non voglio tessere lodi del passato. La nostalgia è una malattia che cerco di evitare.
Ha dei rimpianti pensando alla sua carriera? Ci sono progetti, interessi o collaborazioni ai quali avrebbe voluto dedicarsi ma che ancora non è riuscito ad approfondire e che magari le piacerebbe sviluppare in futuro?
Tanti rimpianti, anche se la parola non mi piace. Direi che ho consapevolezza di vuoti o mancanze sia in ambito culturale sia nel fronte politico-parlamentare. In sintesi: ho letto molto e studiato poco. Avrei dovuto fare il contrario e seguire un’agenda più ordinata. Odio la chiusura specialistica e ferreamente professionale. Tra le esperienze che iscrivo nella colonna positiva ci sono il contributo che ho dato al rafforzamento o all’avvio delle politiche per le culture promosse da programmi europei e avvalorate da direttive sulla creazione di uno spazio audiovisivo europeo e sulla protezione nella sconvolgente prospettiva della rivoluzione digitale del diritto d’autore e collegati. Da questa lunga esperienza è sorta l’associazione “Giornate degli autori” di cui sono stato presidente: è stata assai attiva nell’ambito audiovisivo e particolarmente nel cinema anche con una sezione autonoma all’annuale Mostra veneziana. Mi ha fatto piacere svolgere corsi come docente a contratto all’Università di Pisa e di Siena sulle materie che sono state oggetto del mio specifico impegno parlamentare. Mi è sembrato un po’ ritrovare il calore degli anni andati. In Normale si organizzavano proiezioni che davano luogo ad accanite controversie. Mi rammento che presi più di un insulto (scherzoso) dopo la proiezione di “Le blé en herbe” tratto dall’omonimo romanzo di Colette. Un film francese del 1954 con regia di Autant-Lara. Me lo sarei ritrovato in competizione per la presidenza della Commissione per la cultura del Parlamento europeo nel 1989. La spuntai facilmente. Era approdato, da comunista che era in gioventù, nelle file del Front National.
In che maniera è cambiato il suo lavoro nel corso degli ultimi anni nelle modalità, nei contenuti, nei rapporti con gli altri o con le istituzioni? Ci sono dei temi da affrontare nel suo settore che pensa siano oggi prioritari?
Io non faccio più politica attiva da quando ho terminato la mia esperienza al Parlamento europeo, cioè dal 1999. Ne scrivo, intervengo in riviste e giornali, ma so di non essere uomo di tutte le stagioni. Non sono iscritto ad alcun partito né esercito professionalmente alcun mestiere. Dopo il 1989 tutto è cambiato. Le tecnologie spiazzano le norme giuridiche e i controlli che avevamo immaginato. La globalizzazione tutt’altro che in essere ha fatto risorgere particolarismi e sovranismi che credevamo in via di superamento. Attraversiamo una fase di transizione che va vissuta con curiosità e speranza, ma riflessioni su sbocchi apocalittici di tanto in tanto insorgono e turbano. Bisogna essere forti, non cedere allo scoramento, non smettere di informarsi, di guardarsi intorno, di immaginare il domani.
In che direzione pensa stiano andando l’università e la ricerca italiane? Quali pensa che siano i loro punti di forza e di debolezza?
Stando alle classifiche o a rapporti diretti che coltivo con dipartimenti e personalità che meritano a mio parere attenzione e ascolto, direi che i limiti più evidenti derivano da un insieme di procedure e modalità di valutazione molto burocratico e artificioso. Ho finito or ora di leggere il bel libro di Mario Isnenghi “Autobiografia della scuola da De Sanctis a don Milani”. A conclusione Isnenghi butta là una battuta: “Non so come se la sarebbe cavata oggi Francesco De Sanctis non avendo pubblicato saggi su riviste di fascia A”. Battute a parte vedo un sempre più stretto legame tra ricerca e proiezione industriale dei risultati. È un bene e può essere un male. L’autonomia disinteressata della ricerca va salvaguardata. La ricerca inutile… che approda a risultati strabilianti. Per le discipline umanistiche è facile dirlo, per altri settori assai meno. L’ossessione dell’eccellenza può stravolgere tempi e democraticità, trasparenza, collaborazioni. Così la meritocrazia – categoria quanto mai ambigua – eretta a primario parametro selettivo mi crea perplessità. Stare nel presente e dare risposte ai disagi e alle paure che ci assalgono è giusto ma non soggiogandosi ad un economicismo di immediata rendita o di avventurosa applicazione. So che sto formulando auspici facili che suonano forse retorici, ma devo essere sincero. Il modello humboldtiano è superato o vive solo residualmente di nome, ma l’aziendalizzazione forsennata a suon di coefficienti e misurazioni quantitative – mi scuso dell’imprecisione dei termini – declassa il sapere a strumento, accentua un elitismo spocchioso avallando un darwinismo sociale senza esclusioni di colpi. La dimensione pubblica e generale viene sottovalutata o trascurata. Il terzo settore deve essere considerato come un obiettivo di grande rilievo, un servizio fecondo per la società. Gravissimi sono i tagli messi in atto dal governo nei finanziamenti alle Università. Si fa il contrario di quello che sarebbe necessario fare. Mi sembra che questi siano alcuni dei nodi più inquietanti. Non so se ho centrato i veri problemi.
C’è qualche personaggio, anche non più in vita, che le piacerebbe incontrare e perché? Cosa gli chiederebbe?
Vorrei incontrare mia madre. Il nostro dialogo per ostacoli e sfasatura di tempi è rimasto interrotto. I silenzi l’hanno sopravanzato.
C’è qualche consiglio che darebbe a un giovane normalista su come muoversi nel mondo di oggi? A cosa prestare particolare attenzione, e da cosa non farsi distrarre? C’è qualche lettura, spettacolo, film, attività, etc. che è stata importante per lei e che gli consiglierebbe?
Non sono in grado di dare consigli in sintonia con i tempi. Suggerirei all’ipotetico normalista di non perseguire esclusivamente obiettivi professionalizzanti, cioè di non chiudersi dentro la gabbia del curriculum stabilito e degli sbocchi auspicati. Certo: a quest’insieme organico di attività va accordata priorità. Ma essenziale è leggere libri che non c’entrano niente con la professione. Fondamentale è avere uno sguardo sul mondo, viaggiare sia per necessità di studio o di progetto, ma anche per divertirsi e conoscere civiltà lontane dalle nostre abitudini quotidiane. Il localismo in qualsiasi forma non è più consentito. Occorre disporre di un buon patrimonio linguistico. Ogni persona sarà attratta dalla creatività di uno o più settori. Per quanto mi riguarda indicherei il cinema o l’audiovisivo intelligente in tutte le sue declinazioni. Invidio chi ha dimestichezza con le chances offerte dalla rivoluzione digitale. Non è formativo né utile, però, farsi prendere dalla presenza sui social e abusare di comunicazioni non personalizzate. Ancora: sfogliare giornali di buon livello o chiosare un libro su carta e meditarci su restano gli esercizi più produttivi e necessari in un mondo in frenetica mutazione. Non cedere allo scetticismo, alle scorciatoie in apparenza semplificatrici. Non ignorare organismi o iniziative preposti a sovvenire non paternalisticamente o occasionalmente o per dovere di avara pietà chi domanda concreto sostegno. Solo nel rapporto con l’altro, con l’altra, con l’alterità ti conosci davvero e ti metti alla prova. Mi avvedo che do consigli a me stesso, tardi, ahimè, per farne norme da accettare e vivere pienamente con autentica convinzione.
Notizie in breve da Pisa
Il 18 marzo, nella sede fiorentina di Palazzo Strozzi, si è tenuto l’incontro "Il futuro dell'università in Italia", organizzato dalla Scuola e incentrato sulle sfide delle università italiane e sul futuro della ricerca. Benché gli atenei italiani, compresa la stessa Normale, svettino ai primi posti nelle classifiche internazionali, le università sono sottoposte a un attacco crescente in tutto il mondo con il taglio dei finanziamenti alla ricerca e la limitazione della libertà accademica. Inoltre, un problema specificatamente italiano è quello dell'emigrazione dei laureati all’estero: circa 550.000 giovani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato l’Italia tra il 2011 e il 2023, di cui il 43% laureati, a causa della scarsità di opportunità professionali.
Un altro tema affrontato è stato la crescita delle università private telematiche, che sollevano preoccupazioni per la qualità dell'insegnamento, dato l'alto rapporto tra studenti e docenti, per lo più precari. La spesa per la ricerca pubblica in Italia è stagnante da decenni, con una riduzione dei finanziamenti alle università e un calo del personale docente di ruolo.
Giovanni Paolini, Elia Bruè e Daniele Semola, ex studenti di matematica della Scuola Normale Superiore, si aggiudicano un prestigioso riconoscimento internazionale per due studi separati, uno di topologia (Paolini), l’altro di analisi geometrica (Bruè-Semola). Si tratta del “2025 Frontiers of Science Award”, indetto dalla Repubblica Popolare Cinese, che sarà assegnato durante “International Congress of Basic Science” in programma il prossimo mese di luglio a Pechino.
Tutti i dettagli su Normale News: https://normalenews.sns.it/tre-ex-allievi-della-scuola-normale-superiore-vincono-il-2025-frontiers-of-science-award
Aggiornamenti sulle attività dell’Associazione
Aggiornamento Reunion annuale 25 Ottobre 2025
Come comunicato nello scorso numero, la reunion annuale si terrà sabato 25 ottobre 2025.
Nel pomeriggio prevediamo una sessione di incontri di gruppo tematici, idealmente per disciplina di studio, settore di lavoro e anno di ingresso. Stiamo cercando volontari che ci aiutino nell’organizzazione perciò se volete collaborare ad organizzare uno di questi gruppi o avete altri suggerimenti e proposte, fatevi avanti!Nel frattempo, ecco qui l’anteprima dell’agenda della giornata:
10:15 – 10.30 Intervento del nuovo Direttore della Scuola Normale Superiore
10:30 – 12.00 Riunione Assemblea con il seguente ordine del giorno:
1. Presentazione attività svolte nel 2024-2025 da parte del Direttivo
2. Presentazione programma attività 2025-2026
3. Discussione attività, programma e proposte dei soci
4. Varie ed eventuali
12:00-13:00 Testimonianze alumnae e alumni
13:00-14:00 Pausa pranzo nei locali della Scuola
14:00-16:00 Riunione gruppi tematici
1. Riunione anni di ingresso
2. Riunione disciplina di studio
3. Riunione settore di lavoro
16:00-17:00 Testimonianze alumnae e alumni
17:00-17:30 Chiusura
Se non siete ancora iscritti, vi invitiamo a completare l’iscrizione a questa newsletter per assicurarvi la ricezione di tutte le prossime pubblicazioni e per aiutarci nello sforzo di rilanciare l'associazione:
Scriveteci suggerimenti in vista dei prossimi numeri e per condividere i vostri ricordi degli anni trascorsi in Normale! Potete rispondere a questa mail o scrivere all’indirizzo di posta elettronica ilchiostro@normalisti.sns.it
Il Chiostro è una newsletter di informazione dell’Associazione Normalisti. Alla realizzazione di questo numero hanno collaborato: Alessio de Giuseppe, Laura Costantin, Lorenza Graglia, Marco Ioffredi, Alessandro Maserati, Giovanni Zagni.